SULLA ROTTA DELL’AIMANCE


In questa preziosa testimonianza poetica di Maria Zaki, una delle voci più suggestive e originali del variegato panorama francofono contemporaneo, possiamo ritrovare condensato un messaggio profondo di speranza e comunione tra gli uomini che affonda le proprie radici in quella dimensione umana e antropologica che Albdelkébir Khatibi definiva aimance. Nella sua raccolta Poésie de l’Aimance (Éditions la Différence, 2008), il grande poeta marocchino scriveva: «Aimance. Ce mot, on le trouve rarement, très rarement, dans les dictionnaires, même spécialisés. On dirait qu’il se rend désireux... Peu à peu, au cours des années, ce mot a exercé sur moi un pouvoir extensif. Ses possibilités de notion active et de concept m’ont guidé vers une quête qui ne relève pas que de la littérature, mais se veut une éthique de l’immanence, dans les relations interpersonnelles, ou bien encore dans des lieux de passage et de résistance que vivent les hommes quand ils sont confrontés à la rencontre croisée entre les cultures, entre les pays, entre les sociétés, entre les spiritualités. Bref, la question de l’inter...».

Questa “etica dell’immanenza”, dai risvolti quasi spirituali e sociologici, di cui è impregnata la poesia di Maria Zaki, rimanda non solo ad uno scambio più costruttivo e proficuo con l’Altro, ma anche ad una sorta di “contaminazione” autentica e consapevole con la cultura altra. Il concetto di aimance, reso in italiano con amanza (parola di mediazione provenzale amansa, dal latino amantia), se da un lato riflette quel bisogno di affetto e di amore proprio dei bambini nell’accezione psicologica del termine, dall’altro rimanda alla poetica dell’amore cortese della straordinaria stagione lirica trobadorica. Amanza, infatti, indica non solo la donna amata, l’amante, ma anche l’oggetto di passione, l’amore. In Dante ritroviamo alcune occorrenze in tal senso. Entrambe le accezioni racchiuse nel vocabolo aimance hanno in comune questa ricerca disperata di amore e di “condivisione dei rapporti”. Khatibi aggiunge a questa duplice dimensione uno sfondo etico: «J’appelle aimance cette autre langue d’amour qui affirme une affinité plus active entre les êtres, qui puisse donner forme à leur désir et à leur affection mutuelle, en son inachèvement même. Je pense qu’une telle affinité peut libérer entre les aimants un certain espace inhibé de leur jouissance».

L’affinità amorosa può contribuire a costruire uno spazio simbolico, e al tempo stesso estremamente reale, e sgombrare il campo dalle inibizioni prodotte dall’atto di amare. È in nome dell’aimance, di questa lingua altra d’amore volta ad affermare una affinità elettiva tra gli esseri umani, che Maria Zaki invoca, sulla scia di Khatibi, il diritto all‟arte e al pensiero nell‟universo così complesso e paradossale dei sentimenti. Nella parola aimance, ritroviamo le nozioni di alleanza e di complice intesa, ma anche quelle del moto dell’anima e del rinnovamento spirituale che permettono di trasformare l’amicizia o l’amore in un‟autentica arte di vivere l’incontro. L’aimance si fonda sull’affezione senza riserve, su un’autentica solidarietà tra le genti, sull’ascolto e il rispetto dell’Altro.

Si tratta dunque di un’arte di vivere il mondo. L’aimance non si sostituisce all‟amore come parola e frammento del reale, bensì lo prolunga «si bien qu’elle est à la pointe de ses apories, qui sont souvent incarnées dans la passion et sa mythologie» (Albdelkébir Khatibi, op. cit.). Essa permette di trasformare l’attrazione affettiva, il desiderio e la carica passionale che l’atto d’amore porta con sé, in un campo materiale o immateriale, in cui si libera la sua forza creativa e creatrice, sapendo che “la mancanza dell’essere” può essere colmata solo grazie all’arte e alla navigazione simbolica. Da allora, ci s’inscrive nella volontà di pensare l’incontro al fine di sopportare meglio l’inesorabile divario e lo scarto profondo tra il desiderante e l’oggetto del suo desiderio (Maria Zaki).

Ed è proprio dal concetto di aimance, e dalle sue profonde connessioni con la sfera emotiva del viaggio notturno e del sogno, che prende avvio questa sontuosa raccolta poetica di Maria Zaki, intitolata significativamente Au-delà du mur de sable / Oltre il muro di sabbia, un autentico inno dell’umana memoria che si leva contro il mutismo, per dare voce al silenzio, per abbattere le spaventose frontiere innalzate dall’odio e dall’intolleranza: «Dans la nuit soucieuse / De notre aimance / Inachevable et inachevée / Dans la nuit orageuse / Plus haute que les marées / C’est déjà le rêve !» (Nella notte inquieta / Della nostra amanza / Inaccessibile e incompiuta / Nella notte tempestosa / Più alta delle maree / È già il sogno!).

Il testo che inaugura la raccolta è dedicato alla memoria del suo mentore scomparso nel 2009, dal titolo evocativo Khatibi dans l’ordre transparent de l’Univers, in cui la scrittrice oltre a ricordare in modo struggente la figura del poeta, sottolinea l’urgenza di porre un freno all’inesorabile deriva della nostra contemporaneità: «Au seuil de ton visage / Jette un regard sur nous / Qui sommes encore en vie / Dans notre terrestre vivre / Où toute vie est / Promesse de mourir / Nous imaginerons par toi / Et en toi / Que nous te rejoignions / Par le savoir-sentir / Extrême !» (Alla soglia del tuo volto / Getta uno sguardo su di noi / Che siamo ancora in vita / Nel nostro vivere terrestre / In cui ogni vita è / Promessa di morte / Noi immagineremo con te / E in te / Che ti raggiungevamo / Grazie al saper-sentire / Estremo!).

Saper sentire in profondità, cogliere nell’ordine trasparente dell’universo gli echi lontani di umane parole, essere in grado di percepire i battiti accelerati di un mondo in preda alla disperazione, accogliere il suo grido straziante e placare la sua sete di libertà e giustizia: sono questi i lasciti khatibiani che ritroviamo cristallizzati nella forza alchemica del verbo poetico di Maria Zaki.

Nella poesia Donnons-nous la main ! / Diamoci la mano! la scrittrice ci indica la strada da seguire: «Cherchons le chemin / Qui conduit vers la paix / Même au loin / Même aux frontières / De certains esprits / Qui ne mesurent / Ni le sens ni le sang / De leurs idéologies / Pour qui la paix / Est un mystère / Et l’amour un ennemi // Face aux mots de fiel / Et aux appels à la ha ine / Qui voltigent dans leur bouche / Blessant le silence / Et insultant la bonté / Seule notre résistance / Peut effacer leur nombre / Et leurs actes répétés» (Cerchiamo il cammino / Che conduca alla pace / Anche in lontananza / Anche alle frontiere / Di alcuni spiriti / Che non misurano / Né il senso né il sangue / Delle loro ideologie / Per i quali la pace / È un mistero / E l’amore un nemico // Di fronte alle parole di fiele / E agli appelli all’odio / Che volteggiano nella loro bocca / Ferendo il silenzio / E insultando la bontà / Solo la nostra resistenza / Può cancellare il loro numero / E i loro atti reiterati).

In questi versi ritroviamo il messaggio più profondo lanciato dalla scrittrice: resistere agli appelli dell‟odio e della violenza, e alle sue derive fatte di ideologie distorte, di parole di fiele che avvelenano lo spirito e il corpo. Non permettiamo dunque che la follia e la furia omicida prendano il sopravvento sulla ragione e il buon senso: «Ne laissons pas / La haine passer» (Non lasciamo / L’odio passare), perché «À la haine succède / Toujours la haine» (All’odio segue / Sempre odio).

In un universo dominato dalla violenza e dalla scarsa propensione all’ascolto, le donne, «tessitrici pudiche», «filatrici sbrigliate», depositarie privilegiate del verbo poetico, esercitano «l’arte della traccia e della filatura», pratica «interdetta ai non-iniziati»: «Condannate al mutismo / Noi lasciamo i nostri censori / Fuori dal girotondo / A decifrare i nostri versi / Come si decifra / Il mondo». Vittima di pregiudizi e di secoli di oscurantismo, la donna, come la fenice, rinasce dalle proprie ceneri fumanti: «Al ritorno del vento / Scuoti le tue ali / Per purificare / Le tue piume d’oro / E rimetti al cielo / La prova dell’assenza!».

Ma qual è il ruolo del poeta e della poesia in un mondo in preda al caos, sull’orlo del disastro, in un vortice disumano di barbarie ed orrore? «Nous avons payé / L’impôt sur le bonheur / Comme on paie / L’impôt sur le revenu // Rappelez vos lieutenants / Les poètes / Sont revenus !» (Noi abbiamo pagato / L’imposta sulla felicità / Come si paga / L’imposta sul reddito // Richiamate i vostri luogotenenti / I poeti / Sono tornati!)

Il poeta vigila oltre il muro di sabbia, mentre il vento accarezza dolcemente le dune frastagliate del suo cuore agitato, fondazioni sotterranee dell’anima, insufflando in lui versi intrecciati di polvere e sale: «D’un vers à l’autre / Nous tissons / De nouvelles chaînes / Nos mains / Toujours tremblantes / Jamais ne perdent le fil» (Da un verso all’altro / Noi intessiamo / Nuove catene / Le nostre mani / Sempre tremanti / Non perdono mai il filo).

Lo sguardo attento e pietoso della scrittrice si posa delicatamente sui drammatici viaggi della speranza che vedono coinvolte anime disperate della vita, frammenti di umana memoria tradita dagli orrori della Storia, che tentano di emergere faticosamente dall‟ombra dei loro “vascelli di fortuna”, fragili “gusci di noci” in balìa della furia degli elementi: «Après la danse / Éphémère des vagues / Quand la grande houle / Briseuse de rêves / Prend la relève / Le large devient / Subitement le théâtre / D’un drame géant / Et les rivages naguère / Parsemés d’algues / Rouges et brunes / Comptent les morts / Que crache l’écume» (Dopo la danza / Effimera delle onde / Quando la grande onda / Distruttrice di sogni / Prende il suo posto / Il largo diventa All’improvviso il teatro / Di un dramma gigantesco / E le rive poco prima / Disseminate di alghe / Rosse e marroni / Contano i morti / Che sputa la spuma).

Il testo conclusivo della raccolta, incentrato sul tema dell’Alterità e sul solco profondo scavato dalla Differenza e dalla paura dell’Altro, rappresenta una sorta di manifesto della poetica dell’inaccessibile e dell’incompiuto che alberga nella nozione stessa di aimance: « "Tu dois tenir la laisse / À tes émotions sauvages" Lui dit-on ! / Ce n’est pas simple / À entendre / Quand partout la violence / Se confond au dialogue » (“Devi tenere al guinzaglio / Le tue emozioni selvagge”/ Gli dicono! / Non è semplice / Capire / Quando ovunque la violenza / Si confonde con il dialogo).

Come è possibile cercare la strada del dialogo quando tutto sembra rimandare al caos e alla disumanizzazione dei rapporti? «Ce n’est pas simple / À réaliser / Quand on n’a pas / Encore acquis l’illusion / De pacifier la violence » (Non è semplice / Realizzare / Quando non si ha / Ancora acquisito l‟illusione / Di pacificare la violenza)

E alla poetessa non resta che chiedersi senza risposta: «Vers quelle naissance / Se prolonge / Une telle gestation ?» (Verso quale nascita / Si prolunga / Una simile gestazione?)

 

Mario Selvaggio, Università di Cagliari, 28 giugno 2018